Lo stile grafico è un elemento molto importante in un videogioco, tanto che a volte, di fronte a certi titoli, capita di pronunciare frasi del tipo: “Vale la pena giocarlo solo per la grafica”.
Ecco, a voler essere estremamente sintetici, la recensione di El Shaddai si potrebbe riassumere proprio con quella frase. Parliamo di una produzione giapponese del 2011, che all’epoca uscì solo su PS3 e Xbox 360, e che ora, 10 anni dopo, arriva finalmente su
PC grazie ad un port realizzato da Crim. Un gioco vecchio quindi giusto? E allora come posso può essere che la grafica sia ancora il suo punto forte? Sembra strano eh, ma eppure è così. Andiamo con ordine però è partiamo come al solito con la trama.
Un’epopea apocrifo-biblica
Partiamo con una piccola premessa: la storia di El Shaddai affonda le sue radici nella tradizione biblica e su un testo apocrifo denominato il libro di Enoch, che narra la storia… di Enoch per l’appunto, il protagonista del gioco. Costui era un semplice mortale, che però piaceva tanto a Dio, che un giorno decise addirittura di portarlo con sé nell’alto dei cieli. Da quel momento Enoch divenne uno scriba al servizio del signore in persona e cominciò a passare le sue giornate annotando tutti gli avvenimenti del regno celeste. Un bel giorno però accade il disastro. Alcuni angeli chiamati Grigori decidono di ribellarsi a Dio e scesi sulla terra cominciano a creare un proprio regno, assoggettando gli uomini al loro volere fino ad arrivare ad unirsi a loro, generando delle creature chiamate Nephilim. Tutto ciò naturalmente fa infuriare il Signore, che decide che la situazione va risolta in un’unica maniera: massacrando tutti gli angeli ribelli, tutta la loro stirpe e chiunque li segua. Il tuo classico Dio dell’Antico Testamento pronto a sterminare chiunque non righi dritto. Ci piace.

Enoch, il nostro divino protagonista: il prescelto di Dio.
Chi decide pertanto di mandare l’Altissimo a riempire di botte i ribelli? Ma proprio Enoch! E lui mica può rifiutarsi. Un po’ perché come fai a dir di no all’Onnipotente, un po’ perché forse si sentiva in colpa a star lì in paradiso tutto il tempo senza manco pagare l’affitto.
Il nostro Enoch dunque, accompagnato da quel simpaticone di Lucifero e dai 4 arcangeli, Gabriel, Michael, Uriel e Raphael, scende sulla terra e si dirige verso La Torre, un’imponente costruzione al cui interno vivono gli angeli ribelli e che fa da scenario all’intera narrazione. Non pensiate però che si tratti di una torre come le altre. Non parliamo mica di un edificio costruito dagli umani. Qui non ci sono mica colonne, gradinate e corridoi; ogni piano della torre è costituito da dei veri e propri “mondi” generati dai Grigori, che pullulano dei loro seguaci pronti a difenderli fino alla morte. Compito di Enoch e del giocatore sarà farsi largo in queste strane realtà e porre fine alla ribellione dei Grigori.

E che viaggio ragazzi…
Questa è la trama di El Shaddai (che fra parentesi è uno dei tanti nomi ebraici di Dio), e certamente concorderete che trasporre su schermo degli eventi narrati in dei testi religiosi sia un’idea alquanto interessante, e che dal punto di vista narrativo potrebbe permettere di spaziare parecchio. C’è da dire però che al team di sviluppo e al direttore creativo
Sawaki Takeyasu, sì, quel Sawaki Takeyasu, character designer del primo Devil May Cry e di Ōkami, di approfondire la trama non fregava poi tanto. Più che altro a Takeyasu serviva una scusa per riversare tutta la follia artistica contenuta nella sua mente e difatti la narrazione di El Shaddai è alquanto frammentaria e sconnessa. Le cose succedono, e a volte c’è anche piuttosto pathos, grazie anche ad una colonna sonora dalle musiche fortemente evocative, ma non c’è approfondimento dei personaggi o dei temi trattati, non c’è tempo per riflettere. Come i testi da cui è tratto, El Shaddai si focalizza maggiormente sugli eventi che su i suoi protagonisti, affidandosi più a frasi ad effetto che fanno figo, che ad una vera e propria sceneggiatura . Penso comunque che l’interesse del team fosse più creare delle suggestioni, piuttosto che narrare una storia con una sua linearità, e quindi non riesco a considerare questa mancanza di spessore della trama un vero e proprio difetto. Da segnalare comunque che per rendere un pelino meno confusionaria la storia è stato inserito anche il romanzo breve “Lucifer’s Fall” da poter consultare una volta terminato il gioco. Avendo la pazienza di leggerlo è possibile comprendere meglio alcuni punti della storia.
Pestaggi angelici
Quando ho scritto che il Signore manda Enoch a riempire di botte i suoi figli ribelli, non stavo scherzando. Quello che si fa in El Shaddai è letteralmente riempire di botte un sacco di gente/creature celesti/mostri abominevoli. Ci troviamo di fronte ad un hack’n slash duro e pure signori, dove l’attività principale del giocatore è quella di è di percuotere brutalmente un sacco di roba. E come lo si fa? A mani nude naturalmente, ma anche utilizzando delle armi. Ce ne sono 3 in totale e tutte molto divertenti da usare: c’è l’Arch, una specie di sega ad arco gigante con la quale si possono eseguire combo rapide ed acrobatiche, il Gale, che è costituito da piccoli “droni” che si possono scagliare contro il nemico da distante, e il Veil, uno scudo capace di trasformarsi in un due potentissimi, ma lentissimi, tirapugni. Ognuna di queste armi ha il suo set di mosse che è più meno adatto a combattere certe tipologie di nemico. Il combattimento è incentrato interamente sull’esecuzione di combo basate sull’uso combinato di vari tasti e sulla loro pressione da eseguire con certe tempistiche. Si tratta in essenza di un combat system abbastanza classico, ma la fluidità dei movimenti e la spettacolarità delle combo fan sì che gli scontri siano appaganti e divertenti. I pattern di attacco dei nemici e alcune meccaniche piuttosto carine inoltre, danno un tocco di profondità in più che non guasta. Ad esempio ce n’è una che permette letteralmente di rubare le armi agli avversari dopo averli indeboliti abbastanza: si può perciò iniziare un combattimento con un Arch e buttarsi nella mischia finché si è abbastanza in salute, per poi impossessarsi del Gale di un nemico per attaccare a distanza una volta che si viene feriti. Si tratta davvero un’ottima idea che rende i combattimenti più dinamici e tattici.

Ogni tanto è possibile eseguire qualche super mossa a fini di trama.
Tutto molto bello quindi? Purtroppo, no. Ci sono due problematiche principali che purtroppo alla lunga smorzano il brio dato dal combat system. Uno è la varietà dei nemici: veramente, veramente scarsa. Ci si ritrova ad affrontare sempre le stesse tipologie di avversari con solamente le skin diverse e questo fa sì che presto si finisce con l’accusare una certa noia. Va bene che il gioco è corto, si parla di un 8-9 ore di durata totale, ma che i nemici siano sempre gli stessi ce ne si accorge davvero troppo presto. Per fortuna a mitigare un po’ la ripetitività ci sono le fight con i boss, decisamente interessanti e legate maggiormente al lato platform del gioco. Di sicuro sono una delle cose di cui di sicuro ci si ricorderà una volta giunti ai titoli di coda.
Il secondo problema è il livello di sfida. In poche parole perdere in questo gioco è pressoché impossibile. Quando Enoch muore difatti può essere riportato in vita facendo del button smashing violento, e riprendere da dove si era rimasti senza alcuna conseguenza sul combattimento in corso. Certo, ritornare in vita è ogni volta più difficile e richiede di smashare leggermente di più, ma di fatto, questa difficoltà nel morire rende il livello di sfida molto, molto basso. Certo la cosa è giustificata dal fatto che siamo i prescelti del Padre Eterno e quindi se lui decide che non è giunta la nostra ora, niente e nessuno può opporsi, ma comunque una meccanica di morte normale avrebbe donato un pizzico di pepe in più alla sfida.

Sebbene le ambientazioni possano sembrare folli non preoccupatevi: il danno da caduta non esiste.
Combattimenti a parte, il gameplay è costituito principalmente da sequenze platform di varia natura, che sfociano anche nel side scroller, condite da tutti i classici del genere, come piattaforme che cadono, trabocchetti da evitare e cose simili. Anche qui purtroppo ci sono alti e bassi, perché se per la maggior parte del tempo troviamo cose anche fin troppo classiche, poi arriva il guizzo di genio che non t’aspetti, con sezioni assolutamente fuori di testa. Non dico niente per non spoilerare, ma vi assicuro che ad un certo punto ci si ritrova a chiedersi “Ma sto giocando lo stesso gioco di qualche minuto fa?”
Nel complesso comunque è un’esperienza che chi ama i platform sicuramente non troverà spiacevole.
Apri gli occhi
Ed eccoci arrivati al punto saliente dell’intera opera: il comparto grafico e artistico. Signori e signore, che dire? Questo gioco è allucinante. Ma non per dire eh. Credo che certe cose che si possono vedere in El Shaddai, si possano sperimentare con l’assunzione di droghe allucinogene. Qui non parliamo di bellezza grafica orientata al fotorealismo o che sfrutta moli poligonali impressionanti, no. Qua parliamo di vere e proprie esperienze visive, che spaziano fra stili diversi e generi diversi. Ovviamente ci sono influenze derivate dal fumetto e dall’animazione giapponese, ma riuscire a inquadrare El Shaddai in un unico stile è praticamente impossibile. I personaggi ad esempio sono realizzati in cel-shading, ma l’ambiente in cui si muovono molto spesso no, creando un contrasto che aumenta l’atmosfera onirica che pervade l’intero gioco. A volte non c’è nemmeno un sopra e un sotto, uno spazio definito in cui Enoch si sposta, ma semplicemente un oceano di colori e forme in movimento.

A volte sembra quasi di stare ad aggirarsi in dei quadri
Ci si sta muovendo in uno spazio dalle architetture fantastiche e surreali, poi all’improvviso il nulla, uno spazio nero, dove si incontrano creature misteriose che ricordano quelle dei film dello Studio Ghibli. E il gioco cambia, cambia di continuo, lasciando il giocatore continuamente sorpreso da quello che sta vedendo su schermo, tanto che a volte si rimane spaesati per qualche secondo prima di capire cosa si ha davanti agli occhi. Un attimo si è immersi un’ambientazione che è puro astrattismo e un attimo dopo compaiono dei fondali bellissimi con dei disegni dettagliatissimi a tema mistico-religioso. La ricerca che è stata fatta per dare ad ogni singola sezione di gioco uno stile caratteristico è davvero qualcosa di fronte a cui non si può che alzare le mani e dire: “Dio santissimo, che lavorone”.
E per questo motivo c’è una cosa che posso affermare tranquillamente : sebbene alcuni aspetti grafici del gioco possano apparire datati, come ad esempio i modelli dei personaggi, El Shaddai nel suo complesso non è invecchiato di un giorno. Anche se fosse uscito oggi e non 10 anni fa, non si potrebbe rimanere indifferenti a tanta cura, a tanta follia e a tanto talento. Capite perché all’inizio della recensione abbia detto che El Shaddai andrebbe giocato “solo per la grafica”?
Lo studio Crim che ha relizzato il port del gioco è stato fondato ed è diretto da Takeyasu-sensei in persona. Sua precisa scelta è stata quella di portare il gioco “così com’era” senza alcuna modifica sostanziale, nemmeno sul lato tecnico. Trattandosi per un gioco per console quindi non sono disponibili miriade di opzioni grafiche, ma sinceramente, vista la grafica particolare del gioco e visto che si parla di un titolo di 10 anni fa che può girare benissimo anche su macchine vecchiotte, non c’era manco il motivo di star lì a far chissà cosa. Lo scopo di questo port difatti era quello di portare El Shaddai sui nostri schermi esattamente come era 10 anni fa. E, come detto, la cosa non pesa minimamente, anzi fa rendere ancora di più conto di quanto sia valido e senza tempo sotto questo aspetto.