- Hidden Deep Recensione – Speleologia secondo Carpenter
Le profondità del sottosuolo sono da sempre state terreno fertile per la narrativa.
C’è chi si è immaginato che possano ospitare interi ecosistemi sconosciuti, o addirittura imperi abitati da persone, se non da creature fantastiche come nani e koboldi.
Anche il mondo videoludico ha la sua buona fetta di giochi dove il sottosuolo e i suoi abitanti la fanno da principe: pensiamo a Gears of War e alle sue locuste, a Gnomoria, e al mai troppo lodato Spelunky. Personalmente le opere ad ambientazione sotteranea che preferisco sono quelle horror, e credo che il gioco che ad oggi sia riuscito meglio restituire il senso di mistero, oppressione, e claustrofobia che si prova esplorando caverne e cunicoli sia The Forest. Che atmosfera pazzesca quel gioco. Non ci ho quindi pensato due volte a fiondarmi su Hidden Deep, gioco horror pubblicato da Daedalic Entertainment e sviluppato da
Cogwheel Software, approdato da una decina di giorni su Steam in early access e che nella sua descrizione incita il giocatore con le seguenti parole: “Esplora, arrampicati, nuota, scansiona, spara e affronta pericolose missioni in un’enorme struttura mineraria e di ricerca sottomarina.”
Eccomi qua. Dov’é il mio fucile?
Cadere nel buio
Eh, il mio solito entusiasmo. Subito a chiedere un fucile, quando non so nemmeno ancora usare il mio rampino. Sì, il rampino: oggetto molto piú importante di un fucile in Hidden Deep. Perché per uccidere basta e avanza una pistola, ma senza saper usare il rampino, non si va da nessuna parte.
Questo perché il gioco è composto da sezioni platform che solitamente si svolgono in caverne piene di anfratti, gallerie anguste e voragini improvvise, pronte a farti precipitare verso una morte repentina fatta di teste fracassate, traumi addominali e arti che si spezzano come grissini.
Hidden Deep punta difatti al realismo, quindi basta una semplice caduta, a far passar a miglior vita il proprio alter ego. In quel caso verrà subito sostituito da un altro membro della squadra di spedizione incaricata di esplorare le miniere e la partita continuerà come se nulla fosse. Per nostra (e per loro) fortuna però non si tratta di poveri sprovveduti lanciati allo sbaraglio, ma di un team di esploratori equipaggiati di tutto punto con strumenti e attrezzi all’avanguardia, tra cui anche delle sfere volanti capaci di mappare la zona con dei laser, uguali a quelle del film Prometheus. Ma il piú importante di tutti rimane per l’appunto il rampino, fondamentale aiuto quando si tratta di calarsi nelle tenebre, issarsi verso alte scarpate, o creare delle zipline da un punto all’altro di un mortale crepaccio. Anche dopo averci preso una certa dimestichezza però la morte rimane sempre dietro l’angolo. Basta oscillare e calcolare male la distanza per fare SPLAT! e trasformarsi in un Pollock rupestre. Sono queste le grandi gioie della fisica simulata; altro elemento cardine del gioco su cui si basano molti degli enigmi ambientali da affrontare nella campagna.
Le missioni che compongono quest’ultima presentano gli obiettivi più disparati, ma di fondo conservano tutte una natura da platform piuttosto classica, dove serve risolvere varie situazioni in giro per il livello per “sbloccare” nuove aree e proseguire fino alla fine di esso. La formula è vecchia, è vero, ma i puzzle ambientali stimolanti e il costante timore di morire riescono a rendere il tutto molto più interessante. Certo, sempre che il vostro concetto di interessante sia avere a che fare con un gioco che tenta di ucciderti in ogni maniera possibile fino a costringerti a ricaricare il livello da capo. Consumare troppe “vite”, ovvero far morire un numero troppo alto di uomini durante una missione, causa infatti la comparsa di una schermata di game over è da lì, l’unica via, è quella di ricominciare la suddetta missione da capo. Questa condizione potrebbe verificarsi anche quando diventa impossibile proseguire: tipo come quando una scavatrice precipita malamente in un punto dove è impossibile recuperarla.
Tu scava, che io ti copro
Ho concluso il paragrafo precedente parlando di scavatrici perché tra i vari incarichi che Hidden Deep chiede di portare a termine nelle profondità della terra ci sono cose come spostare e utilizzare grossi macchinari, far fluire dell’acqua da una stanza/caverna, oppure recuperare un oggetto trovando il modo di raggiungerlo. Sono tutte cose che come detto richiedono di dover fare i conti con la fisica simulata del gioco e altri fattori tutti legati all’ambientazione. Nel pacchetto di “elementi mortali” sono comprese radiazioni, la frizione, e perfino la pressione che nelle sessioni sottomarine, può far esplodere i protagonisti come fossero dei palloncini.
Parlo di protagonisti, al plurale, perché in alcune missioni ci viene dato il comando di più uomini, tra cui gli ingegneri, gli unici in grado di manovrare certi macchinari, e che vanno dunque protetti con maggior attenzione dalle insidie e… dai NEMICI. Perché in Hidden Deep non è solo l’ambientazione a rappresentare un pericolo. E dai! Ma secondo voi! C’è un laboratorio di ricerca sottomarino abbandonato da esplorare e volete che non ci sia manco un esercito di mostri pronto a smangiucchiarvi la faccia? Ma ovvio che c’è e per fortuna direi. È proprio la presenza di queste non meglio identificate creature a rendere il gioco un concentrato di atmosfera, specialmente quando l’ambientazione assume un aspetto “da nido zerg” e orrendi suoni iniziano a rimbombare ovunque.
Questi besti palesemente ispirati all’organismo alieno de “La Cosa” di Carpenter non sono presenti in moltissime varietà, ma quelle che ci sono riescono ad essere molto fastidiose, inquietanti e spesso bastarde. Con la parolaccia mi riferisco in particolare ai “vermoni”: dei disgustosi tentacoloni dentati capaci di protrundersi con violenza da dei buchi sul soffitto o sulle pareti per acchiappare qualunque cosa si muova e triturarla senza pietà. Bisogna sempre controllare i soffitti. Sempre…
Assieme sopravvivremo (forse)!
Ricapitolando: in questo gioco c’è atmosfera, una buona componente puzzle/platform, della sana tensione. È un giocone quindi? La riposta è: lo potrebbe diventare. Per quanto le circa 8 ore della campagna si facciano giocare con piacere è evidente che Hidden Deep sia ancora incompleto, e non parlo del fatto che ci sono varie cose viste nel trailer e nel materiale promozionale del gioco in questa build non compaiono minimamente. Mi riferisco a varie piccole cose, come ad esempio far sì che sia possibile dare ordini complessi agli altri membri del team. Al momento è solo possibile ordinargli di andare in una direzione, cosa che tra l’altro fanno in un modo assurdo: cominciano a correre come dei pazzi senza curarsi minimamente della propria incolumità. Per ora l’unico modo di far proseguire i compagni senza rischi è quello switchare di continuo fra i vari personaggi e di usarli personalmente. Un sistema di ordini che permetta di gestire, movimenti e comportamenti del team renderebbe l’intera esperienza molto più dinamica e profonda. Altro punto da sistemare è decisamente la trama, che per ora appare solamente abbozzata e si spera venga maggiormente approfondita visto che con un’ambientazione così valida si potrebbe tirar fuori davvero qualcosa di buono. Ci sono poi tutta una serie di bug che a volte possono causare delle morti o delle situazioni di stallo, alquanto fastidiose. Non riuscire a proseguire in un livello perché un mezzo si è incastrato in un punto, ma non per sbadataggine propria, ma perché la fisica ha deciso all’improvviso di impazzire, non è un’esperienza molto piacevole, soprattutto se capita nella fase avanzata di un livello.
Altri problemucci li troviamo anche sul versante multiplayer. Perché sì, Hidden Deep ha una modalità cooperativa a schermo condiviso dove bisogna affrontare delle missioni con nemici e obiettivi generati proceduralmente, ma purtroppo, ora come ora, ci sono dei grossi problemi che fan sì che i comandi dell’altro giocatore vadano a farsi benedire, soprattutto se usa un controller. La cosa comunque non capita ad ogni singola sessione, il che rende la cosa ancora più frustrante dato che quando il gioco funziona come dovrebbe esplorare in compagnia è davvero, davvero divertente. Lo sviluppatore comunque ha promesso che risolverà la cosa e che aggiungerà anche la co-op online. Ah già! Non ve l’avevo detto: Cogwheel Software è uno studio composto da una sola persona, tale Lukasz Kaluski. A lui voglio Ma oh, beh, andiamo al giudizio!