Ci sono storie che, anche se raccontate mille volte, non annoiano mai, come le favole che da bambini amavamo sentire sempre uguali, anche se le conoscevamo a memoria. Life is Strange di Dontnod è in un certo senso proprio simile a quei racconti che un padre legge ogni sera al figlio, aggiungendo magari qualche particolare e cambiando un minimo le dinamiche, giusto per non annoiarsi troppo. Chi ama la serie Dontnod si troverà subito a casa anche col nuovo capitolo, sviluppato per l’occasione da Deck Nine, potendo riconoscere nel gioco tutti gli elementi che hanno reso queste avventure titoli di successo sia commerciale che di critica. Il titolo Square Enix ha il suo affezionatissimo pubblico che sa cosa aspettarsi e che, in fondo, non brama neppure chissà quale rivoluzione nella formula. Gli elementi imprescindibili ci sono tutti: una protagonista dal passato nebuloso e con un nuovo potere, mille legami da stringere con i vari png, una grande enfasi sul rapporto col proprio fratello (e siamo a tre incluso Tell me Why), una storia semplice ma con sfumature mistery, tanta introspezione, dialoghi e drammi adolescenziali (e non). Il gioco arriva su pc (versione testata) e console per la prima volta rinunciando alla distribuzione episodica e proponendo in un unico pacchetto tutta l’avventura, senza necessità di inutili attese tra un capitolo e l’altro. Questa è forse la più grande rivoluzione di True Colors che, non a caso, propone una narrazione meno dispersiva, concentrandosi su un unico grande ambiente piuttosto che mille location diverse, come invece a suo tempo aveva fatto il secondo episodio della serie. Ma andiamo con ordine e facciamo la conoscenza di Alex Chen, del piccolo paese di Haven Springs e dei suoi abitanti.
Tutti i colori delle emozioni
Alex Chen è una ragazza ventunenne con un passato burrascoso alle spalle, un carattere apparentemente difficile e tanti anni passati tra una casa famiglia e l’altra, senza alcun legame apparente ad eccezione del proprio fratello maggiore Gabe. La storia inizia con la protagonista che raggiunge il proprio fratello in Colorado, nella cittadina di Haven Springs, vogliosa di ricominciare una nuova vita e recuperare il proprio rapporto con Gabe, da troppi anni distante. Haven Springs è una piccola cittadina che basa la sua economia sulla vicina miniera, un borgo dove tutti si conoscono e sembrano accoglienti e gentili con l’ultima arrivata. Ma, come sappiamo, spesso nella provincia si celano i misteri più inconfessabili e toccherà a noi scoprirli. Alex, a sua volta, porta con sé un grande segreto: il potere di leggere le emozioni di chi le sta accanto, provare le paure e la rabbia di chi la circonda, assorbirle e persino cambiarle. Questa vera e propria tempesta emotiva travolge la protagonista ogni qual volta si trova a contatto con sentimenti troppo forti, spingendola anche a reazioni incontrollabili.
Come avrete capito, è questo il potere sul quale si baserà tutta la dinamica narrativa del titolo, con soluzioni ludicamente anche interessanti ma, come vedremo, non sempre coerenti. Dopo una prima fase introduttiva, nella quale faremo la nostra conoscenza con i vari comprimari, la trama subirà ben presto una improvvisa accelerazione con un evento tragico che darà il via ad una storia a metà tra il dramma adolescenziale e il mistery con sfumature alla Scooby-Doo. In un gioco narrativo parlare della trama significa rovinare metà del divertimento, per questa ragione cercherò di essere il più possibile avaro di dettagli e lasciare a voi il piacere della scoperta. Chi ha già giocato almeno un titolo della serie Life is Strange è sicuramente avvezzo allo stile narrativo dei giochi Dontnod, fatti di un ritmo prevalentemente compassato, di tante azioni apparentemente inutili, di riempitivi e dialoghi che sembrano non portare da nessuna parte. Sin dai suoi esordi il gioco si è focalizzato più sui personaggi che sulla storia, lasciando all’utente il tempo di conoscere a fondo ogni comprimario, di scoprirne il passato e in qualche modo di affezionarsi.
True Colors non fa eccezione a questa rodata formula, proponendoci una vicenda divisa in cinque capitoli ma dove la trama si prende una lunga pausa nella fase centrale proprio per permetterci di conoscere meglio i vari comprimari. A un certo punto Alex sembrerà più interessata a risolvere i piccoli e grandi problemi di chi le sta accanto, piuttosto che venire a capo della questione che direttamente la coinvolge. I veri protagonisti diventano così gli abitanti di Haven Springs, i loro sentimenti che potremo sondare sin nel profondo, cambiare e indirizzare verso una vita più serena. True Colors ci lascia liberi di occuparci o meno di tante sub stories, di approfondire il nostro legame con nuovi amici o correre dritti verso i titoli di coda. Tralasciare tutte le missioni opzionali farà emergere una trama principale non così profonda come si potrebbe pensare e ci porterà ad un esito finale della storia meno soddisfacente.
Dall’altro lato, alcuni momenti di totale relax e alcune situazioni più “ludiche” stridono fortemente con la tematica tragica di fondo. Senza scendere troppo nei particolari, ci sono stati diversi momenti nei quali ho avuto l’impressione che alla protagonista non importasse minimamente cosa stesse succedendo, intenta come è a tentare di salvare la giornata a tanti perfetti estranei. Nonostante gli sforzi degli sviluppatori, Alex mi è sembrato il personaggio meno vivo della serie Life is Strange, con diverse scelte che mi sono apparse poco coerenti. In particolare, le fasi iniziali ce la dipingono come un personaggio anche aggressivo e spigoloso, salvo poi vederla trasformarsi nel più asettico degli avatar anche di fronte a momenti emotivamente forti. I limiti della trama emergono con prepotenza in prossimità della conclusione, quando finalmente la matassa (peraltro non così complessa) inizia a dipanarsi. Nel tentativo di regalare ai giocatori un bel colpo di scena nelle fasi finali, gli sviluppatori ricorrono ad un paio di coincidenze ed eventi improbabili, nonché francamente evitabili, che cercano di risollevare una storia fino a quel punto senza grandi guizzi e sorprese. Chi ha già giocato altri episodi di Life is Strange proverà una forte sensazione di Dejà vu, con momenti che, inutile girarci intorno, paiono presi pari pari dal passato. Maggiore cura è stata riposta nei dialoghi, con scambi di battute credibili e qualche momento di riuscita comicità, a dimostrazione di quanto l’elemento social sia predominante rispetto alla storia vera e propria.
Scegli con accortezza
Dal punto di vista del gameplay, Deck Nine ha confezionato un gioco che segue le meccaniche dei precedenti capitoli, cercando di arricchire l’esperienza e dando maggiore libertà al giocatore rispetto al passato. Come negli altri titoli della serie, potremo muovere il nostro personaggio liberamente nel paese, farlo interagire con i vari comprimari e con qualche oggetto, sempre in maniera semplice e con poche limitate opzioni (guarda, parla, usa) delegate a un paio di tasti. Gli enigmi non costituiscono mai una vera e propria sfida, richiedendoci semplicemente di trovare l’oggetto giusto o la corretta linea di dialogo, premiando più l’esplorazione che l’intuizione. Il nuovo potere di Alex è stato implementato in maniera buona, permettendoci di sentire le emozioni di alcuni personaggi (e anche di qualche oggetto, sbloccando così dei ricordi bonus) vedendone l’aura che li circonda e il cui colore è associato ad un determinato sentimento. Purtroppo, l’interazione con questi personaggi avviene esclusivamente in momenti determinati ed è solitamente associata ad un piccolo enigma da risolvere sul posto. Capiterà, così, di dover placare la rabbia di un determinato comprimario, di indagare le ragioni dietro la paura di un altro, di scoprire le reali emozioni di un nostro amico. Purtroppo, questo potere rappresenta anche uno dei maggiori limiti della trama, perché appare francamente poco comprensibile come la nostra protagonista non riesca a leggere i sentimenti di una determinata persona, esclusivamente per esigenze narrative (ovvero per non far finire la storia in 5 minuti).
Fatto salvo questo buco nella storia, l’idea funziona perché permette di sfruttare le nostre conoscenze assecondando i nostri amici secondo i loro desideri reali, senza che si accorgano di nulla (non sarà il massimo dell’onestà ma vabbè). Tutte queste meccaniche sono, di fatto, pienamente in linea con quanto già visto negli altri episodi di Life is Strange e chi ha terminato gli altri giochi non farà fatica a venire a capo dei vari enigmi e situazioni. Deck Nine ha, comunque, cercato di proporre anche soluzioni nuove per rendere l’azione più fresca rispetto ad una formula già ampiamente rodata. L’esperienza è, così, infarcita di minigiochi (alcuni più riusciti di altri) e, come già detto, pone una particolare enfasi all’esplorazione degli ambienti. Sin dalle prime fasi dell’avventura, potremo girare liberamente per il paese in cerca di qualcuno da aiutare, con diverse sub quest interessanti e che aumentano un minimo la longevità della storia. Il fulcro di tutto il gameplay, comunque, è costituito, come da tradizione, dalle scelte che dovremo compiere in determinati momenti dell’avventura, in prossimità degli immancabili bivi della storia. Si tratta, purtroppo, spesso e volentieri, di alternative che non ci pongono realmente di fronte a un profondo dilemma quanto piuttosto piccoli fastidi che non sembrano incidere così profondamente nella trama.
Chi ricorda il secondo Life is Strange avrà presente come il termine dell’avventura ci ponesse di fronte ad un’alternativa drammatica, le cui conseguenze non erano pienamente prevedibili dal giocatore. In questo episodio, al contrario, il finale appare incredibilmente scarico, senza che si presenti di fronte a noi un vero e proprio dilemma nella scelta, piuttosto neutra. True Colors vede così il suo più grande difetto in una narrazione che non ci spinge mai realmente a ponderare le nostre decisioni, con conseguenze quasi sempre pronosticabili ed una progressione a tratti sonnolenta. L’impressione finale è quella di non avere un reale controllo sulla storia, che viaggia su binari immutabili. Deck Nine ha provato a cambiare la meccanica dei precedenti capitoli, che relegava il grosso delle decisioni alle fasi finali, facendo in modo che alcune nostre scelte iniziali influenzino in qualche modo gli ultimi momenti della storia. Pur potendo raggiungere la migliore versione possibile del finale solo con grande dedizione ed attenzione, le alternative sono tutto sommato ugualmente accettabili e non spingono il giocatore ad impegnarsi per ottenere il true ending. Anche da questo punto di vista, True Colors non riesce a compiere un vero passo in avanti rispetto a chi l’ha preceduto.
Un gioco coloratissimo
Tecnicamente Deck Nine ha svolto un buon lavoro, gli ambienti sono sufficientemente dettagliati e i personaggi caratterizzati da buone animazioni ed espressioni facciali convincenti. Interessante anche l’effetto grafico che caratterizza il trasporto emotivo della protagonista, con colori accesissimi che rendono le immagini quasi ovattate e oniriche. Non si tratta di un vero e proprio salto verso la next gen, quanto piuttosto di un, pur sensibile, miglioramento rispetto a quanto già visto nei precedenti episodi. Un plauso va riservato al doppiaggio dei personaggi, assolutamente di ottimo livello, limitato alla lingua inglese ma con sottotitoli nel nostro idioma e una buona traduzione.
La colonna sonora è ugualmente riuscita, ricca di canzoni famose e non, brani originali orecchiabili e un’interpretazione di Creep a metà tra il cringe e il Vasco Rossi (che è sempre un cringe ma più potente). La longevità del titolo si assesta intorno alle 10 ore, qualcosa di più per chi vorrà esplorare con calma Haven Springs e cercare di risolvere quante più substories possibile. Una volta terminato il gioco, sarà possibile rigiocare liberamente i singoli capitoli, potendo così fare scelte differenti e sperimentare i vari bivi narrativi in modo comodo e veloce. Non posso, infine, non elogiare la scelta di inserire nel gioco un paio di cabinati arcade da provare liberamente per spezzare il ritmo della storia. Si tratta di un titolo originale e addirittura di una conversione di una vecchia gloria della Taito, a voi il piacere di scoprirli.
- Sistema operativo:
Windows 10 64-bit
- Processore:
AMD Phenom II X4 965, 3.40 GHz / Intel Core i5-2300, 2.80 GHz
- RAM:
6 GB
- Scheda Grafica:
Radeon HD 7790, 2 GB / GeForce GTX 750Ti, 2 GB
- Spazio su disco:
30 GB
- Sistema operativo:
Windows 10 64-bit
- Processore:
AMD FX-8350, 4.00 GHz / Intel Core i5-3470, 3.20 GHz
- RAM:
8 GB
- Scheda Grafica:
Radeon RX 590, 8 GB / GeForce GTX 1060, 6 GB
- Spazio su disco:
30 GB
- Valutazione Finale76Voto
Life is Strange, True Colors è prigioniero di una serie che gli impone sin troppi paletti e limitazioni.
Deck Nine ha deciso di non rischiare praticamente nulla, proponendo un more of the same nelle tematiche e nelle situazioni che soffre di una trama sin troppo esile che lascia al giocatore scelte poco incisive. Gli appassionati della serie potranno, comunque, trovare un prodotto curato, che li farà navigare in acque tranquille e prive di sorprese. Si tratta di un titolo che, seppur privo di grandi difetti, manca di quella scintilla in grado di coinvolgere sino alla fine e di rimanere impresso nel giocatore. Consigliato solo agli appassionati di giochi narrativi in astinenza da nuovi titoli o ai fan più affezionati della serie Dontnod.