Rainbow Six Extraction Recensione – Siege incontra il survival

- Rainbow Six Extraction Recensione – Siege incontra il survival

La missione inizia con l’elicottero che lascia me e la squadra su una sorta di terrazzo. Siamo sulla cima di un palazzo di New York di svariati piani, da cui si gode anche di un discreto panorama, ma siamo lí per goderci la vita. Tutt’altro. Entriamo in azione. Dal terrazzo penetriamo all’interno dell’edificio attraverso una parete di legno sfondata. ùControllo il selettore di fuoco del fucile d’assalto e lo regolo su fuoco automatico. Siamo al chiuso e voglio essere pronto a tempestare di proiettili qualunque cosa mi si pari di fronte. Il nemico che dobbiamo affrontare non conosce il concetto di pietà; lo so io, come lo sanno i miei compagni. Iniziamo a esplorare l’edificio muovendoci silenziosamente. Meglio mantenere un profilo basso finché possibile. Sono io a guidare il gruppo e a scegliere dove dirigerci, pertanto sono il primo ad entrare nelle stanze e a imboccare i corridoi. È così che dopo aver girato un angolo sento qualcosa di appiccicoso sotto gli scarponi. Abbasso lo sguardo e la vedo, nera e viscosa. È la sostanza prodotta da quelli che chiamiamo Nidi. Ed eccolo là! Poco distante, ne vedo uno, pulsante e gonfio, come se fosse sul punto di esplodere. Non sappiamo esattamente cosa siano i Nidi, ma quello che sappiamo è che la maggior parte di loro vengono fuori da quegli orrori e per questo li chiamiamo così. Non sappiamo nemmeno cosa sia la sostanza nera, ma è probabile che sia secreta dai Nidi per alterare il bioma che li circonda. Segnalo la presenza del Nido alla mia squadra. Uno dei miei compagni mi sorpassa per andare a eliminarlo con discrezione usando il suo pugnale, ma non si accorge delle spore accecanti su una delle pareti. Le spore si staccano e lo colpiscono uno dopo l’altra. Lo vedo andare nel panico: la sua vista è quasi completamente occlusa e sarebbe meglio stesso fermo, ma lui avanza lo stesso e lo fa nella direzione sbagliata. Ed è allora che lo vedono. Un verso terrificante squarcia il silenzio e in pochi secondi si scatena il caos.

 

Rainbow Six Extraction

Un Nido, in tutta la sua “naturale” obbrobriosità.

Gli Archei sanno che siamo lì. Nel loro territorio. Il mio compagno che ancora ci vede decide di sparare al Nido prima che possa generare un ostile. Una buona idea visto che presto ne avremo di bersagli a cui sparare. Ed eccoli che arrivano. Alcuni sono umanoidi e ci caricano a testa bassa per colpirci con le loro braccia simili a lame. Altri sono dei veri e propri mostro a quattro zampe, rapidi come pantere. Ne arrivano tanti e riescono inevitabilmente a ferirci, ma riusciamo a tenerli a bada per il tempo necessario al nostro compagno per riacquistare la vista , dopodiché col suo aiuto non abbiamo problemi a finirli tutti. Sembra finita. Ricarichiamo le nostre armi e prepariamo a muoverci di nuovo, ma ecco che una parete di fianco a noi si frantuma come fosse di compensato. È il nostro bersaglio: un Distruttore. Dobbiamo catturarlo vivo su richiesta del centro ricerche. Un’impresa più facile a dirsi che a farsi: si tratta di un bestione altro 3 metri con la pelle corazzata come quella di un piccolo blindato. Uno dei miei compagni si lancia su di lui per cercare di pugnalarlo alle spalle, una mossa che può farci guadagnare un po’ di tempo, ma non è abbastanza rapido: il Distruttore lo nota e rotea le enormi braccia, colpendolo e mandandolo K.O.
 

Non ho una scan di quei momenti, ma le cose erano all’incirca come in questa immagine ufficiale del gioco.

Io e l’altro superstite decidiamo di cercare di attirare il Distruttore altrove in modo da aiutare il nostro compagno, ma appena entriamo in un’altra stanza veniamo notati da un’altra creatura che manda di nuovo in allerta tutte le creature della zona. Ora convergeranno tutte su di noi. Purtroppo rimane una sola cosa da fare: fuggire. Sparando ci facciamo largo verso la zona di estrazione e a fuggire. La missione è fallimento. Non siamo riusciti a completare nemmeno un obiettivo e un nostro compagno è rimasto sul campo, ma non ci scoraggiamo. Quello che possiamo fare ora è riorganizzarci e non commettere più gli stessi errori, in modo da poter tornare e salvare l’operatore caduto in mano nemica. La schiuma isolante speciale messa a punto dal team scientifico lo proteggerà fino a darci il tempo di organizzare una missione di soccorso. Tornati alla lobby ci prepariamo per il compito, andando a modificare il nostro equipaggiamento di conseguenza.  Il countdown di inizio partita termina e via: di nuovo in azione. Ecco come è andata una delle partite che ho svolto durante la mia prova di Rainbow Six: Extraction.
Più precisamente si tratta della prima partita ad un livello di difficoltà più alto di quello a cui avevo giocato fino a quel momento, e il cui esito disastroso mi ha fatto capire di aver sottovalutato il livello di pianificazione richiesto nelle fasi più avanzate del gioco.

Strategia e mostri

Sebbene infatti possa sembrare semplice all’inizio, man mano che si avanza nel gioco e si decide di provare un livello di sfida superiore, Rainbow Six: Extraction svela la sua vera natura di gioco che non perdona gli approcci incauti. La sua anima è quella da sparatutto tattico che da sempre contraddistingue la serie, anche se a differenza dell’amatissimo Siege, qui il focus è tutto sulla cooperazione. Non ci sono nemici umani pronti ad approfittare di ogni minimo sbaglio per massacrarvi in malo modo, ma delle creature mostruose chiamate Archei, comandate da un’I.A. E visto che combattere contro un’I.A., anche la più “infame”, ha comunque un ritmo più lento e tranquillo rispetto ad un match contro gli umani, è inevitabile che Extraction sia un’esperienza più “rilassante”, rispetto al gioco d’origine. Almeno all’inizio. E la cosa non è male, soprattutto perché così non si rischia, come purtroppo può accadere su Siege, di avere un primo impatto traumatico con il gioco, in cui si viene hedshottati ad ogni passo o insultati dai compagni di squadra perché niubbi.
 

In particolari missioni bisogna purificare una zona da un’infestazione di Chimera più aggressiva del normale.


Su Extraction questo per fortuna non succede e il giocatore ha modo di abituarsi gradualmente alla difficoltà, e di capire, anche grazie ad alcune missioni di tutorial, tutte le meccaniche di gioco in maniera facile ed intuitiva. Il tutorial è utile anche per venire a conoscenza di quel minimo di lore che Ubisoft ha voluto creare per fare da impalcatura narrativa all’esperienza. Un mega organismo parassita alieno ha fatto improvvisamente la sua comparsa in varie parti del mondo causando danni ingenti a edifici, cose e persone, e rendendo inaccessibili intere aree urbane, divenute il regno di creature sconosciute, aggressive e letali. Per rispondere alla minaccia viene creato e mobilitato R.E.A.C.T. , Rainbow Exogenous Analysis & Containment Team (ovvero: Squadra Rainbow per l’analisi e il contenimento alieno), un gruppo formato dai migliori membri dei corpi speciali di tutto il mondo. Scopo del R.E.A.C.T. è quello di fornire dati e campioni sull’organismo, battezzato Chimera dagli scienziati, dando così modo all’umanità di mettere a punto dei metodi per contenerlo, contrastarlo ed eliminarlo.

A volte far esplodere tutto è la soluzione migliore. Occhio a chi potrebbe arrivare subito dopo il botto però.

Il R.E.A.C.T. è composto da vari Operatori, tutti presi in prestito da Siege, che qui ritornano con dotazioni pressoché identiche che si sbloccano anche qui con il progredire di una barra dell’esperienza. Cosa alquanto bizzarra devo dire, visto che il loadout di alcuni operatori costringe ad utilizzare per forza delle armi non silenziate fino al raggiungimento di un certo livello. E in questo gioco la furtività è tutto. Dico, davvero. In certe situazioni basta sparare un colpo non silenziato e si rischia di avere addosso metà mappa in men che non si dica. Perché non dotare tutti gli Operatori di armi silenziate fin da subito quindi? Pigrizia, forse? Era più comodo prendere gli Operatori e sbatterli così com’erano all’interno del gioco? Forse. O forse solo questione di cattivo bilanciamento, chi lo sa. Per fortuna le armi si sbloccano molto rapidamente per cui questa fase di dolore dura poco.
Anche il sistema di movimento e il gunplay sono gli stessi di Siege: è possibile abbassarsi, sdraiarsi, sparare sporgendosi dalle coperture e via dicendo. Non mancano nemmeno i droni e gli altri gadget che permettono di dare un’occhiata a stanze e corridoi in tutta sicurezza, cosa che diventa fondamentale alle difficoltà più alte, quando la varietà e la quantità di Archei aumenta in maniera importante. Gli Archei sono i mostri generati da Chimera, e ce ne sono circa una decina di tipologie, ognuno con i suoi punti di forza e punti deboli che bisogna imparare a conoscere in modo da affrontarli nella maniera più efficiente possibile. L’I.A. che li governa è abbastanza buona, decisamente una spanna sopra a quella a cui ci ha abituato Ubisoft negli ultimi anni… e per fortuna. C’è un tipo di Archeo in particolare che ho apprezzato proprio per la sua capacità di spostarsi e sfruttare i ripari mentre continua ad attaccare in maniere piuttosto inaspettate. Un nemico ostico vi assicuro, ma che proprio per questo va apprezzato come sfida.

Sopravvivere ad ogni costo

Per quanto riguarda lo svolgersi delle missioni la componente più interessante di Extraction, è proprio l’extraction. Ora spiego che intendo. Ogni missione si svolge in un ambientazione divisa in 3 sezioni a cui corrispondono altrettanti obiettivi da portare a termine in sequenza: per entrare nella zona successiva è necessario aver completato l’obiettivo della zona precedente. Gli obiettivi variano dal classico trova ed elimina un nemico in maniera particolare, al fai ripartire un marchingegno, al recupera un oggetto e portalo al sicuro, il tutto mentre si affrontano minacce generate proceduralmente. Nulla di speciale insomma. Ma attenzione! C’è una piccola particolarità ed è per l’appunto l’estrazione. Durante lo svolgersi della missione ci si può estrarre in qualunque momento e il motivo è i giocatori vengono posti continuamente davanti ad una scelta:dare la priorità al completamento della missione o all’incolumità dei propri Operatori. Perché, come è capitato nella partita che vi ho descritto sopra, perdere un Operatore significa affrontare una missione di recupero, in cui come obiettivo finale c’è quello di riportare a casa il caduto. Va da sé che quindi bisogna fare del proprio meglio per restare vivi e aiutare i compagni a rialzarsi nel caso vengano “messi giù”, in modo da dover affrontare le missioni di recupero il meno possibile.

 

Rainbow Six Extraction

Salvare un Operatore significa strapparlo con le proprie mani dalle schifose grinfie di una colonna di Chimera.

E cosa succede nel caso si fallisca una missione di recupero? In quel caso l’Operatore “muore” causando la perdita del 30% dell’esperienza accumulata da quell’Operatore, cosa che potrebbe anche potenzialmente farlo regredire di livello e andare ad intaccare le armi e gli equipaggiamenti a sua disposizione. Ad esempio: c’è un’arma che l’Operatore può usare al livello 5, ma perdendo exp torna al 4? Bene, (anzi, male!), quell’arma tornerà ad essere accessibile solo una volta che l’Operatore sarà tornato al livello 5. C’è da aggiungere che la perdita di exp non riguarda solo il singolo Operatore, ma anche l’esperienza del vostro profilo, necessaria a sbloccare ricompense e altri vantaggi in-game. La morte va assolutamente evitata a tutti i costi!La storia cambia leggermente quando un Operatore raggiunge il cap, ovvero il livello 10: a quel punto perderlo in azione non causerà più il calo dell’exp, ma comunque non sarà possibile utilizzarlo per un po’ di tempo. Nel caso estremo in cui perdiate tutti i vostri Operatori comunque non preoccupatevi: il gioco ve ne restituirà uno in automatico per poter continuare a giocare. Questo meccanismo costringe dunque a giocare sempre con una certa cautela, anche le missioni più facili, figuriamoci quelle difficili come quelle del Progetto Maelstrom.

Nell’occhio del ciclone

Il Progetto Maelstrom, a parte il farming per tirare su l’esperienza di ogni singolo operatore, è l’unica vera attività di endgame ed anche la sfida più impegnativa che il gioco ha da offrire, tanto che differenza di tutte le altre missioni, non è possibile affrontarla in solo. È una missione con ben 9 obiettivi, invece dei normali 3, quindi suddivisa in ben 9 sezioni di difficoltà crescente: man mano che si procede i nemici diventano sempre più forti e numerosi, mentre le munizioni e i medikit diventano sempre più scarsi. Al cambio di ogni sezione inoltre vengono attivate delle “mutazioni”, ovvero delle varianti di gioco come nemici più resistenti o addirittura invisibili, che vanno a complicare ulteriormente gli scontri. A tutto questo si aggiunge anche il fatto che in Maelstrom la selezione dell’Operatore non è libera, ma è obbligatorio scegliere da un roster di 6 Operatori selezionati casualmente dal gioco stesso. Può capitarti il tuo Operatore preferito, come no, o sei costretto a raggiungere dei compromessi con i compagni. L’unico vantaggio dato al giocatore è che in Maelstrom la componente procedurale è assente: l’incarico rimane uguale per la durata di una settimana mantenendo gli stessi nemici, gli stessi obiettivi e gli stessi modificatori, dopodiché verrà generato un nuovo seed con caratteristiche diverse. Questo vuol dire che se per caso un tentativo dovesse andare male, si ha la possibilità di riprovare per un’intera settimana e conoscendo in anticipo la porzione di missione fino a dove si era giunti prima del game over. In pratica arrivare alla fine di un Maelstrom è davvero, davvero difficile e richiede almeno un’ora, se non di più, pertanto è consigliabile cimentarsi nell’impresa solo una volta portati al 10 un buon numero di Operatori, e con l’aiuto di giocatori di cui ci si può fidare. La voglia di provarla comunque sarà tanta, soprattutto per spezzare la monotonia delle missioni principali, che prima o poi, in giochi come questo, arriva sempre.

Zero rischi

Sul fronte tecnico non so esattamente cosa dire se non che Rainbow Six Extraction utilizza lo stesso identico motore grafico di Siege. I giochi sono pressoché identici e l’AnvilNext 2.0 è un motore ormai vecchiotto, pertanto sì, l’aspetto grafico non è male, ma leggermente datato. L’aspetto buono di questo è che il gioco riesce a girare decentemente anche sui PC più vecchiotti.Sotto il profilo artistico invece si poteva fare decisamente di più. A parte le skin delle armi e degli Operatori fin troppo simili a quelle di Siege, quando non addirittura identiche, è il design delle ambientazioni e degli Archei ad essere poco ispirato.
 
Rainbow Six Extraction

Certe ambientazioni non sono malaccio… ma si poteva fare decisamente di più.

 
Soprattutto questi ultimi sono piuttosto anonimi, al limite del banale, così come lo sono molte location dove si svolgono le missioni che solo raramente presentano qualche guizzo creativo che le rende capaci di rimanere impresse nella memoria. Un vero peccato perché si sarebbe potuto fare molto di più per donare al gioco un’atmosfera più da survival, magari lavorando maggiormente sull’illuminazione e sulla palette cromatica. Sul fronte audio tutto si assesta su livelli accettabili, ma anche qui purtroppo a latitare è l’originalità: i suoni delle armi sono quelli di Siege e i versi degli Archei, come il loro aspetto, non ha nulla di veramente speciale.
 
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