In ogni film horror che si rispetti c’è almeno una scena in cui uno dei personaggi si comporta come un perfetto idiota. D’altronde, chiunque sia dotato di un minimo di sale in zucca può comprendere, senza fatica, come intrufolarsi in una cantina buia dalla quale provengono rumori inquietanti, dopo aver aperto una porta con strani simboli esoterici, non sia propriamente una scelta degna di un premio nobel. Voglio dire, è chiaro che una decisione del genere porterà, nella migliore delle ipotesi, ad una morte sanguinolenta, quindi perché diamine fare qualcosa di così stupido? In Song of Horror ho rivissuto in pieno alcuni di questi momenti, solo che l’idiota di turno ero io. Perché il gioco di Protocol Games (testato su Xbox e disponibile anche su Playstation e PC) presenta varie situazioni nelle quali ci troveremo di fronte a scelte all’apparenza semplici (e altre molto meno banali, come vedremo), che puntualmente sbaglieremo, con effetti irreversibili. Non tutte le porte devono per forza di cose essere aperte, non tutti gli oggetti sono utili, esplorare zone rischiose non è necessariamente la scelta migliore. Il gioco prende una via diversa e tutto sommato coraggiosa per i survival horror, lasciando l’utente in un costante stato di precarietà e insicurezza, dovuto alla consapevolezza che in ogni momento uno dei protagonisti potrà lasciarci le penne. E sarà quasi sempre colpa nostra.
Un pizzico di Alone in the dark, una spruzzata di Eternal Darkness
Eviterò in questa recensione di fornire dettagli sulla trama, lasciandovi il piacere della sorpresa. Basti dire che l’intera vicenda ruota intorno a una melodia misteriosa e pesca a piene mani dai classici della letteratura e del cinema horror di stampo più soprannaturale. Nel gioco possiamo impersonare tutta una serie di personaggi diversi, ognuno con le sue belle statistiche, scegliendo ogni volta liberamente con chi vogliamo iniziare l’avventura. Avremo quello più forte fisicamente, quello più tranquillo psicologicamente, il classico personaggio equilibrato e così via. La scelta del protagonista non sarà, così, solo estetica ma avrà ripercussioni tangibili nell’avventura. Nel gioco è presente un sistema di perma-death, per questo motivo, in caso di dipartita di uno dei personaggi, lo dovremo salutare per sempre e continuare la storia con uno di quelli rimanenti. Qualora dovessimo esaurire tutti i protagonisti l’unica opzione disponibile sarà ricominciare il capitolo dall’inizio. Potrà, così, capitare di trovarci ad affrontare le fasi finali del gioco con pochi personaggi a nostra disposizione, perché morti nei capitoli iniziali. Inoltre, la dipartita di uno specifico personaggio significa game over immediato, costringendoci ad usarlo come ultima risorsa dopo altre più sacrificabili. È chiaro che in questo modo il giocatore non potrà mai stare tranquillo, non avendo a disposizione salvataggi ai quali aggrapparsi e rischiando di dover ricominciare dopo ore di gioco a causa di qualche scelta poco oculata.
Consapevoli che un sistema del genere potrebbe risultare indigesto a parte degli utenti, gli sviluppatori hanno introdotto un livello di difficoltà più accessibile eliminando il perma-death. Song of horror è stato però concepito con in mente ben chiaro il già citato senso di precarietà, per questo motivo, al netto di qualche inevitabile momento di frustrazione, la scelta suggerita è quella di optare, almeno inizialmente, per la difficoltà standard. Il gioco è, fondamentalmente, un survival horror in terza persona con atmosfere alla Alone in the dark e incentrato prevalentemente sulla risoluzione di enigmi. Per gran parte del tempo saremo chiamati ad esplorare attentamente i vari ambienti, raccogliere oggetti, leggere documenti e risolvere qualche puzzle. Tutti gli enigmi classici del genere tornano in grande spolvero: abbiamo le chiavi da trovare, i puzzle del tipo “metti l’oggetto giusto al posto giusto”, le immancabili combinazioni numeriche, gli oggetti da ruotare per trovare gli indizi e così via. Da questo punto di vista Song of Horror risulta molto più conservativo di quanto le premesse non lascino intendere. Non manca qualche rompicapo più interessante (e qualcuno estremamente macchinoso) ma, fondamentalmente, siamo dalle parti del già visto. Pur non eccellendo in originalità, gli enigmi sono, comunque, di buona fattura e quasi sempre piacevoli da risolvere. Nel gioco, però, non saremo chiamati soltanto ad affrontare dei puzzle ma dovremo confrontarci anche con le nostre paure ed orrori soprannaturali assortiti.
Puoi solo nasconderti
Song of horror rinuncia completamente ad un sistema di combattimento vero e proprio, facendoci interpretare personaggi tutto sommato indifesi ed incapaci di sconfiggere le creature malvagie che cercheranno di assalirci durante l’avventura. Dimenticate i soldati armati di tutto punto, le munizioni da scovare, gli headshot. Qui, al massimo, potremo usare una torcia per illuminare gli ambienti circostanti e cercare nuovi indizi. In determinate occasioni ci troveremo, però, ad essere attaccati da una presenza misteriosa e letale. In quei frangenti avremo due sole possibilità: respingere la creatura serrando la porta di ingresso della stanza in cui ci troviamo o nasconderci e mantenere la calma per non farci scovare. In entrambi i casi dovremo affrontare un minigioco basato sulla pressione forsennata o ritmica dei pulsanti, niente di particolarmente esaltante ma sufficiente a mantenere alta la tensione in quanto fallire uno di questi eventi può significare la morte. Gli attacchi che subiremo non avvengono soltanto in momenti predefiniti ma si verificano con una certa casualità e senza preavviso, tanto per non far mancare mai un po’ di sana paura e rendere le varie run sufficientemente diversificate.
Gli attacchi delle presenze ostili e i relativi minigiochi si amplieranno in varietà nel corso della storia, senza però raggiungere vette di eccellenza ludica. Possibile che dopo anni di storia del videogioco siamo ancora costretti alla pressione forsennata di un tasto stile Track and Field? Ne parleremo comunque dopo. Non mancano, poi, come giusto che sia, i momenti scriptati da jumpscare e le trovate grafiche per garantire qualche spavento in più. Tra allucinazioni, ambienti che si trasformano, personaggi in preda al panico e qualche gioco di telecamera, in certi momenti mi è sembrato di affrontare un seguito spirituale del classico dei Silicon Knights: Eternal Darkness. Particolarmente riuscita l’idea di permetterci di origliare in prossimità delle porte per capire se dall’altra parte si celi o meno un pericolo. Fallire una di queste fasi può significare, ancora una volta, morte immediata del personaggio, tanto per non stare tranquilli mai.
Accendi quella dannata luce!
Dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte ad una produzione di livello medio che, pur senza eccellere in particolari elementi risulta funzionale e gradevole. Il gioco utilizza un sistema di telecamere fisse alla Resident Evil prima maniera, certamente di effetto ma a volte un po’ confusionario in occasione di qualche zona sorprendentemente labirintica. Gli ambienti sono di buona fattura, così come il sistema di illuminazione che ci vedrà costantemente puntare torce e accendini in giro per scovare quello che si cela nel buio. I personaggi e le loro animazioni sono, invece, leggermente meno riusciti, ricordandoci in qualche frangente che non ci troviamo di fronte sicuramente ad un titolo tripla A. Il sonoro, al contrario, convince su tutta la linea, con musiche inquietanti ed effetti riusciti e spaventosi, da godere rigorosamente con un bel paio di cuffie e a luci spente. Giusto la recitazione dei personaggi non è proprio lo stato dell’arte ma chi è cresciuto con i primissimi Resident Evil forse considera anche un livello attoriale mediocre e da b-movie marchio di fabbrica di ogni buon survival horror. La longevità è sicuramente molto soddisfacente, con una storia che si dipana in vari lunghi capitoli, ed una rigiocabilità sulla carta garantita dalla possibilità di affrontare nuove run per salvare ogni personaggio o scovare tutti i collezionabili. Tutto perfetto quindi?
Purtroppo, no.
Un continuo incubo
Veniamo, così, alle note dolenti del titolo, quelle che gli impediscono di raggiungere le vette di eccellenza alle quali forse poteva ambire. Cominciamo con il sistema di perma-death, vera croce e delizia di tutta l’avventura. Se da una parte è sicuramente vero che l’idea sulla carta pare funzionare e contribuisce, almeno nelle prime fasi, a tenere alta la tensione, dall’altra mostra sin troppo presto i suoi limiti. Perdere tutti i personaggi significa ricominciare un intero capitolo dall’inizio, senza salvataggi intermedi, con tutti gli enigmi da risolvere nuovamente e gli oggetti da raccogliere in giro per gli ambienti. In alcuni casi può significare ripetere più volte diverse ore di gioco, identico o quasi, semplicemente perché si è deciso di aprire una porta che doveva rimanere chiusa. E veniamo così al secondo problema direttamente legato al primo, Song of Horror sa essere cattivo e ingiusto in più di una occasione. Morire dopo un semplice errore, perché non si è ascoltato con attenzione i rumori dietro una porta può essere tollerabile. Morire per aver fallito un minigioco estenuante di pressione tasti può far parte dell’esperienza (anche se, non mi stancherò mai di dirlo, superare un minigioco di pressione dei tasti non è che regali chissà quale soddisfazione al giocatore).
Morire perché non si è raccolto un oggetto che tutto faceva pensare dovesse rimanere lì dove era, comincia a diventare snervante. Soprattutto dopo che si è appena morti per aver raccolto un altro oggetto che tutto faceva pensare dovesse essere preso. Song of horror vuole spiazzare e impaurire continuamente il giocatore e lo fa con soluzioni sicuramente sorprendenti, ma che in un sistema di perma-death funzionano poco. Insomma, se potessi caricare liberamente un salvataggio fatto al massimo 30 minuti prima potrei accettare, con più tranquillità, i vari colpi bassi del gioco e, persino, apprezzare qualche morte sorprendente. E di morti imprevedibili e colpi bassi nel gioco ne troverete più di quanto forse non sia lecito attendersi. Così, invece, il tutto si risolve in una sorta di try and error che male si adatta a capitoli lunghissimi da rifare da capo. Questo sistema, poi, rischia di rovinare anche alcune fasi ed enigmi di maggiore complessità, sulla carta stimolanti, ma potrebbero essere affrontate con eccessiva ansia e frustrazione, proprio per la consapevolezza che un singolo errore può vanificare ore di gioco. Ci saranno sicuramente giocatori dotati della dovuta pazienza per mettere in conto plurime run dei medesimi capitoli, fino a conoscerne a menadito tutte le trappole. Molti, probabilmente, finiranno per abbassare il livello di difficoltà eliminando il perma-death e affrontando così un’esperienza meno frustrante ma che, evidentemente, costituisce aggiunta successiva e ha lo stesso sapore di finire uno shoot ‘em up con i continue infiniti. La sensazione che rimane è quella di un’occasione non pienamente sfruttata dagli sviluppatori e di un’idea che, forse, andava sviluppata meglio.
- Sistema Operativo:
Windows 7, 8, 10
- Processore:
Intel o AMD 64bit, 2.6 GHz
- RAM:
8 GB
- Scheda video:
NVIDIA GeForce 660 GTX, Radeon HD 7950
- Spazio su disco:
25 GB
- Sistema Operativo:
Windows 10
- Processore:
Intel o AMD 64bit, 3.0 GHz.
- RAM:
12 GB
- Scheda video:
NVIDIA GeForce 980 GTX, Radeon RX 580
- Spazio su disco:
25 GB
- OS:
MacOS X 10.8.5
- Processor:
Intel Core i5 2.4 GHz
- Memory:
8 GB RAM
- Graphics:
NVIDIA GeForce GT 640M
- Network:
Broadband Internet connection
- Storage:
7 GB available space
- OS:
MacOS X 10.8.5 or Newer
- Processor:
Intel Core i7 2.4 GHz+
- Memory:
8 GB RAM
- Graphics:
OpenGL 4.1 - ATI Radeon HD 5670, NVIDIA GeForce GT 640M
- Network:
Broadband Internet connection
- Storage:
7 GB available space
- Additional Notes:
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- Valutazione finale81Voto
Recensire Song of Horror è più complesso di quanto le prime fasi di gioco non facciano pensare. Si tratta di un titolo con grandissime potenzialità, enigmi e storia interessanti, un senso di angoscia e tensione palpabili e diversi momenti sorprendenti. A questi innegabili pregi fa da contraltare una difficoltà a volte ingiusta e un sistema di gioco che chiede all'utente di ripetere lunghe fasi fino alla nausea. Chi saprà resistere e manterrà il livello di sfida originale si troverà di fronte un survival horror riuscito e che rimarrà impresso nella sua memoria per diverso tempo. Chi, invece, si scoraggerà e opterà per una via più semplice finirà, inevitabilmente, per perdersi parte di quello che il titolo può offrire. Mai come in questo caso, quindi, la valutazione finale dipende molto dalla pazienza del giocatore e dalla sua disponibilità a scendere a patti con qualche scelta di design rivedibile. Si tratta, comunque, di un titolo consigliato che, forse, con pochi aggiustamenti avrebbe potuto essere persino memorabile.