
Read Dead Redemption 2. Anche solo scriverlo fa strano. Voglio essere sincero con voi che state leggendo queste righe: non pensavo, in tutta onestà, che questo giorno sarebbe mai giunto. Non pensavo che avrei mai scritto una recensione di Read Dead Redemption 2. Eppure eccomi qua, dopo aver cavalcato per ore e ore attraverso gli stati di New Austin, New Hanover, Ambarino, Lemoyne e West Elizabeth. Dopo aver giocato ore e ore ad un videogioco su cui non pensavo avrei mai messo le mani.
E il motivo per cui ero convinto di ciò è che non credevo fosse possibile realizzare qualcosa legato al mondo di Red Dead Redemption che potesse eguagliare il primo capitolo: quel gioco rimane e rimarrà sempre uno dei migliori che abbia mai giocato in vita mia. Quando Rockstar annunciò che avrebbe fatto un sequel dunque, non fui colto da entusiasmo, ma più che altro da preoccupazione. Come possono fare un seguito di Red Dead Redemption mi domandavo? È impossibile, non riusciranno mai a riproporre qualcosa di altrettanto epico, dei personaggi altrettanto carismatici, un mondo così incredibilmente vivo. Eppure avevo già visto di cosa era capace Rockstar. GTA 5, era là, era la prova, che a quanto pare questo studio è in grado di superarsi ogni volta. Eppure non riuscivo a convincermi. Perché sì, GTA 5 lo trovai un capolavoro, e sostenni questa opinione con toni anche abbastanza entusiastici, ma… ma Red Dead continuava, almeno per me, ad avere qualcosa in più e quel qualcosa in più credo fosse John Marston e tutto l’universo di personaggi che gli orbitava intorno.

E allora la Rockstar cosa fa? Mi viene a dire che Red Dead Redemption 2, sarà un prequel e che parlerà proprio di quei personaggi. Già lì i miei sensi di gamer iniziarono a pizzicare e la mia vocina interiore cominciò a dirmi cose del tipo: “Guarda che forse anche questo sarà un capolavoro. Guarda che forse potrebbe essere addirittura più bello del primo.” Ma io nulla eh, scettico come un terrapiattista davanti a delle foto della NASA. Anche dopo i trailer che snocciolavano caratteristiche di gameplay una più assurda dell’altra, io no! Non cedevo all’hype. Perché no! Non faran mai una cosa ai livelli del primo. Mai.
Come mi sbagliavo. Mio dio, come mi sbagliavo. Ma sono umano no? Può capitare di sbagliare. No perché vedete io adesso sono qui e devo scrivere una recensione di questo gioco e non so da che parte cominciare per riuscire a farvi capire cosa sia giocarci. Di come questo gioco ti immerga in un mondo come mai nessun’altro gioco ha mai fatto prima. Di come sia qualcosa che sinceramente, trovo anche leggermente spaventoso. Perché è impossibile, credetemi, giocare a questo gioco e non rimanerne folgorati o quantomeno impressionati. Cercherò di spiegare perché nei paragrafi che seguono. Ora andiamo miei pards, che la strada è lunga.
Il tramonto di un’era

L’anno in cui si svolge la trama del gioco è il 1899. È un periodo di grandi cambiamenti per il mondo, ma soprattutto per gli Stati Uniti d’America. L’industrializzazione che ha già fagocitato gran parte dell’est ora si sta spostando verso ovest con velocità impressionante. Le terre selvagge e le grandi praterie, devono cedere il passo al progresso che avanza, rappresentato dalle fabbriche e dalle città che cominciano ad assumere l’aspetto di veri e propri agglomerati urbani dove i sentieri in terra battuta e le foreste vengono rimpiazzate da strade e palazzi. È la fine di un epoca e, come sempre accade in questi casi, anche lo stile di vite della gente è destinato a mutare, cosa che quasi mai accade in maniera pacifica. In questa America in pieno cambiamento, in cui sono ancora vivi i contrasti nati durante la Guerra di Secessione e la legge tenta disperatamente di tenere sotto controllo un territorio vastissimo dove i criminali possono agire semi indisturbati, la banda di Dutch Van Der Linde è braccata dalle autorità. Una rapina andata a male ha fatto sì che la banda sia finita sotto il mirino della Pinkerton, una potente agenzia di sicurezza con dei forti legami col governo. Dutch e i membri della banda sono costretti così a fuggire e a cercare un modo per far perdere le loro tracce.
Della banda fanno parte vari individui, quasi tutti cresciuti nell’aspro mondo del selvaggio West. Fra questi, il nostro protagonista Arthur Morgan. Arthur è nella banda di Dutch “da tutta la vita”, ed è l’uomo a cui il leader si rivolge quando c’è da usare la linea dura: Arthur è un uomo duro, rapido con la pistola, con una fiducia cieca nel suo capo e disposto a tutto per il bene della banda. Anche gli altri membri condividono la sua lealtà nei confronti di Dutch, o almeno in apparenza pare così. Tensioni varie e il recente fallimento rischiano di disgregare la coesione del gruppo che però per il momento in qualche modo ancora resiste. Infondo quello che li lega è un legame molto simile a quello di una famiglia, vista anche la presenza di svariate donne e perfino di un bambino all’interno del gruppo. Ed in questo momento di crisi che Rockstar decide di calare il giocatore, facendogli vivere una storia che spazia su moltissimi argomenti ma che principalmente parla di questo, “legami”, e di come molte volte questi ci portino a compiere scelte che vanno contro la nostra natura o coscienza.

Altro non dirò sulla trama di questo gioco, o almeno sui suoi contenuti. Posso solo affermare con assoluta tranquillità che si tratti della storia più matura di Rockstar, sotto ogni punto di vista. La narrazione è pressoché perfetta. Ogni forma di linguaggio audiovisivo utilizzata in Red Dead Redemption 2 (da ora RDR2) è a livelli spaventosi. Abbiamo una regia dei filmati capace di incunearti certe scene nella memoria, dialoghi che con poche battute fanno riflettere su argomenti come l’onore e il libero arbitrio e una scelta delle musiche che più azzeccata non si può. So che film e videogiochi vengono spesso accostati, ma qui davvero il livello è indubbiamente quello di un’opera cinematografica. Cosa dire poi dei personaggi e della loro caratterizzazione? Come non si può rimanere affascinati dalla loquacità di Dutch? Dalla natura malinconica, ma malandrina di Hosea? Dalla follia di Micah e dalla brutalità di Bill? E potrei andare avanti elencandovi praticamente tutti i personaggi del cast, dei quali riusciremo nel corso della storia a conoscere aspirazioni, pregi e difetti, proprio come nei migliori racconti. C’è poi il protagonista, Arthur, ma lui è un discorso a parte.

A prima vista il classico uomo deciso e di poche parole, capace di sfidare tutto e tutti senza alcun timore quando il momento lo richiede, quasi spietato addirittura, ma che al tempo stesso pare avere un codice morale ed è capace di essere addirittura premuroso verso i suoi compagni di banda. Il conflitto fra il proprio io criminale e la propria natura umana è evidente in quasi tutti i personaggi di questo gioco: la volontà di volersi prendere cura degli altri, delle persone che amano, ma l’incapacità di poterlo fare liberamente perché il mondo in cui vivono lì costringe ad essere persone diverse. Arthur però come dicevo è un discorso a parte perché sebbene la storia dia dei tratti generali che lo definiscono, è il giocatore a decidere veramente che tipo di persona Arthur sarà nel corso del proprio personale playthrough e lo fa attraverso le scelte che capita di dover fare in certi punti all’interno della storia principale, ma anche attraverso tutte le interazioni completamente casuali che il mondo di Red Dead lancia continuamente addosso a chi gioca. A cosa mi riferisco? Ve lo spiego nel prossimo paragrafo che questo è diventato veramente troppo lungo.
Animale sociale

Allora dicevo, interazioni sociali. Cosa intendo con questo termine. Iniziamo dicendo che in quasi tutti i momenti del gioco Arthur ha la possibilità di interagire liberamente con gli NPC presenti sulla mappa. E per interagire non intendo solo sparargli, ma intendo proprio “entrare in contatto con loro”. Il gioco permette infatti di “agganciare” qualunque NPC presente e interagire con esso in vari modi, scegliendo vari approcci. Eccovi qualche esempio pratico: state tornando al campo base della vostra banda e un qualcuno inizia a parlarvi? Potrete decidere di assecondarlo, oppure chiedergli di parlarvi in un altro momento. State entrando in un saloon ed urtate un tizio che subito vi apostrofa con parole decisamente poco cortesi? Potete provocarlo, insultandolo a vostra volta, oppure cercare di calmarlo: il bello è che in entrambi i casi le vostre azioni non avranno un esito garantito. Cosa vuol dire? Che al vostro tentativo di calmarlo il tipo potrebbe effettivamente reagire calmandosi oppure decidere di sferrarvi un pugno. Allo stesso modo ad una vostra reazione aggressiva potrebbe “raccogliere la sfida” o giudicare di aver rotto le scatole alla persona sbagliata. E benché la maggior parte delle volte le cose possano prendere una piega totalmente inaspettata (come nella vita vera d’altronde), ci sono però alcuni fattori che potrebbero influenzare l’andamento delle cose. E parliamo di tanti fattori. Come ad esempio il fatto di avere in mano un arma oppure no durante la conversazione. O il fatto di essere sporchi di sangue. O ubriachi. In tutti questi casi le interazioni disponili e le reazioni degli NPC cambieranno. Da ubriachi ad esempio potremo guardare un perfetto estraneo e rivolgergli frasi del tipo “ti amo!”, con conseguenti risate.

È questo a cui mi riferisco quando dico che è il giocatore a plasmare Arthur: durante tutto il gioco dovrete relazionarvi costantemente con il mondo che vi circonda, impersonando l’Arthur che preferite. E vi assicuro vedere le reazioni della gente o accorgersi che un membro della banda si ricorda di azioni totalmente facoltative che abbiamo compiuto assieme a lui, è qualcosa di francamente stupefacente. Segna veramente un nuovo standard nelle interazioni fra giocatore e personaggi non giocanti, anzi fra giocatore e mondo di gioco. Perché forse avrete notato ho fatto accenno al fatto di essere sporchi di sangue o ubriachi, no? Beh, questi sono solo alcuni dei modi in cui l’interazione ambientale può cambiare ed influenzare l’aspetto di Arthur. Ogni volta che si cade a terra ci si sporca, e in modo diverso in base al tipo di terreno. Si cade sul terriccio? Allora i vestiti si impolvereranno e basta. Si cade nel pantano più limaccioso? Allora sarà fango a comparire sugli abiti. Si spara ad un nemico a distanza ravvicinata? Il sangue schizza sui vestiti, sulle mani e sul viso. Idem se si ha a che fare con corpi sanguinanti, sia che si tratti di umani o animali. Arthur beve troppo alcool o mangia troppo cibo? Il pover’uomo ingrasserà, cosa che influenzerà anche le sue capacità in-game. Al contrario decidiamo di non mangiare mai? Arthur dimagrirà. Il cappello indossato viene colpito da un colpo di pistola durante una sparatoria? Bisogna raccoglierlo da per terra e comparirà un buco nel punto in cui il proiettile l’ha colpito. Questi sono solo alcuni esempi di come Rockstar abbia voluto portare l’interazione ambientale ad un altro livello, un livello mai visto in nessun open world. Per farlo ha disseminato l’ambiente di così tanti piccoli dettagli, che enumerarli tutti è impossibile e questo è valido sia per le ambientazioni urbane che per il vasto territorio selvaggio che fa da cornice alla storia e alle varie attività che è possibile svolgere in-game.

A proposito di queste ho da fare un appunto che non riguarda la loro qualità in sé, ma più che altro il modo in cui sono state inserite all’interno dell’esperienza di gioco. Rockstar ha pensato bene di introdurle durante alcune missioni principali, facendo sì di istruire il giocatore sul come svolgerle, ma al tempo stesso far avanzare la storia. Questo succede fino a fasi anche piuttosto avanzate: una delle ultime attività disponibili credo sia saltata fuori dopo che ero già 20 ore dentro la trama principale. Questo modo di presentare le attività secondarie legandole in maniera efficace alla trama riesce a dare un senso al perché il giocatore debba compierle ed è ben diverso dal disseminare attività sulla mappa piazzandole totalmente a caso come riempitivo. Serve a creare un legame di coerenza con la storia, che le rende meno accessorie, e spinge al giocatore a sentire che sta facendo effettivamente qualcosa di utile e non solo completando degli obiettivi in maniera meccanica. Specifico comunque che questo non è vero per proprio tutte quante le attività presenti in RDR2, visto che alcune sono palesemente lì per “allungare il brodo”, ma per la maggior parte il metodo di approccio relazionato alla storia è stato rispettato.

Comunque sia, anche per quanto riguarda tutte queste cose come gioco d’azzardo, caccia, assalto ai treni, ecc. starà al giocatore, agendo nella più completa libertà, decidere quando, e in molte volte anche come, affrontare tutti questi passatempi. Li si può ignorare completamente o inserirli all’interno della propria routine di gioco nel modo che più si preferisce e che sembra più sensato. Sì, perfino la caccia, sebbene sia palese che rivesta un ruolo molto importante all’interno delle meccaniche di gioco visto che è il metodo principe che permette di rifornire l’accampamento della banda di cibo nelle prime fasi della trama, si può poi evitare comprando le provviste in città. Certo così non potrete ottenere le migliorie estetiche per il campo o determinati tipi di vestiti sbloccabili con le pelli animali, ma vi assicuro che il gioco non vi mette assolutamente alcuna pressione per spingervi a ottenerli.
Ci sono poi una miriade di eventi totalmente casuali che si verificano sulla mappa in cui potrete scegliere se intervenire o restare lì ad osservare la loro naturale conclusione. Parlo di cose del tipo notare due tizi che tentano di aprire una cassaforte, vedere un uomo che viene morso da un serpente e che chiede disperatamente aiuto, notare un fuggitivo in mezzo ai campi. Ce ne sono davvero un’infinità e solo dopo 40 ore circa mi è capitato di vedere “attraverso la magia” e notare che si trattava di eventi che potevano verificarsi anche più di una volta. Pensate che confrontando la mia esperienza con altri giocatori mi è capitato di venire a conoscenza di eventi che a me non era ancora capitato di incrociare. E questo dopo aver passato 70 ore in gioco!
Come funziona una pistola?

Ora che ho cercato di farvi capire il modo in cui Rockstar ha cercato di rendere RDR2 un’esperienza quanto più immersiva e libera possibile, andiamo a parlare di gameplay vero e proprio. In questo gioco troviamo svariati elementi presenti negli altri open world di Rockstar, ma spinti all’ennesima potenza. Cominciamo dalla visuale. Il gioco si configura come un action in terza persona, ma alla semplice pressione di un tasto è possibile switchare alla prima persona. Questa feature introdotta già nelle release PC, PS4 e Xbox One, di GTA 5, l’ho trovata particolarmente interessante, perché permette di scegliere l’inquadratura migliore in base al proprio stile di gioco. Personalmente ho giocato switchando continuamente tra le due visuali in base all’azione che dovevo compiere: prima persona per la perlustrazione di edifici o sparatorie dove era necessaria un po più di precisione, terza persona per l’esplorazione generale e gli inseguimenti. Questo è stato come ho giocato io: volendo il gioco è può essere interamente giocato utilizzando esclusivamente l’una o l’altra senza alcun problema.

Lo shooting system è stato migliorato, rendendo le sparatorie più convincenti grazie all’attenzione riservata a certi dettagli relativi all’utilizzo delle armi da fuoco di quel periodo. Un esempio? Quando si spara con un revolver, una volta partito il colpo, bisogna premere un’altra volta il tasto di sparo per abbassare il cane e poter così sparare il colpo successivo. La cosa potrà risultare macchinosa all’inizio, ma era un dettaglio necessario per perseguire quella voglia di realismo che permea l’intera produzione. Un ulteriore esempio di ciò è dato dal fatto che Arthur può trasportare solamente due armi lunghe alla volta che dovranno essere scelte accuratamente prima che inizino le danze, scegliendo quali prelevare dalla sella del fido destriero. Un altro esempio? Le armi si sporcheranno con l’usura e ogni tanto bisognerà pulirle per far sì che funzionino al meglio, quindi occhio. Buono anche il sistema di copertura, anche se si notano alcune sbavature, quando si utilizza la prima persona: utilizzando questa visuale non sempre Arthur si ripara a modo, rimanendo esposto ai colpi dei nemici. Ovviamente fa il suo ritorno il Dead Eye, l’abilità già presente nel primo capitolo che permette di rallentare l’azione in gioco ed effettuare dei colpi precisi e degni dell’Uomo senza nome di Leone. Particolarmente utile in situazioni difficili, in questo capitolo diventa essenziale anche nella caccia, visto che permette di colpire i punti vitali degli animali con estrema precisione.

E a proposito di animali e visto che li abbiamo nominati parliamo dei cavalli, la cui realizzazione penso sia la migliore mai vista nel medium. Questi animali, proprio come è stato per i coloni ed i cowboy del west, sono un elemento fondamentale del gameplay, visto che permettono di trasportare oggetti e costituiscono il mezzo principale di spostamento all’interno della mappa. Il loro ruolo inoltre viene reso ancora più importante grazie alle meccaniche che riguardano la loro gestione. Non abbiamo di fronte un mero mezzo di trasporto da chiamare quando dobbiamo spostarci velocemente: il cavallo va strigliato, nutrito e accudito per far sì che le sue prestazioni siano sempre le migliori possibili. Arthur può sviluppare un vero e proprio legame con il cavallo che gli permette di compiere alcune azioni particolari, non possibili con un cavallo “appena conosciuto”. Va aggiunto che un cavallo, una volta morto, resta morto. Di conseguenza quando vi capiterà di vedere un destriero sul quale avete speso ore collassare al suolo colpito da un proiettile, vi assicuro che proverete una fitta all’anima al pensiero che un vostro fedele compagno di avventure sarà perso per sempre. Sempre che vogliate utilizzare sempre lo stesso cavallo ovvio. Naturalmente il gioco da la possibilità di possedere più cavalli e di poterli cambiare acquistandoli presso le stalle o domandone di selvaggi, grazie all’utilizzo del lazo. È possibile anche personalizzare la sella e tutti i finimenti, che in alcuni casi vanno anche ad influenzare manovrabilità e altre statistiche del caro quadrupede.

Così come bisogna prendersi cura del cavallo bisogna però anche prendersi cura di Arthur stesso. Come ho specificato prima, l’aspetto fisico di Arthur può variare in base a come lo farete vivere, ma il vostro comportamento in gioco influenzerà anche le sue tre statistiche base che sono energia, stamina e Dead Eye. Queste vengono gestite attraverso un sistema di nuclei (comune anche ai cavalli) che si consumano sia con il passare del tempo in-game, sia quando compiamo azioni che riguardano una determinata statistica. Correre ad esempio consumerà il nucleo della stamina e per “rigenerarlo” bisognerà riposare o assumere sostanze come ad esempio i tonici. Trascurare i nuclei farà calare le prestazioni di Arthur facendo sì che l’efficacia di alcune azioni risulti compromessa. Da uomo di mondo qual’è Arthur è anche in grado di prodursi da solo il necessario per sopravvivere: attraverso un sistema di crafting piuttosto intuitivo è possibile creare oggetti e cucinarsi il cibo, sfruttando quello che l’ambiente gli offre, come selvaggina e piante selvatiche.
Tutta questa abbondanza di meccaniche (e vi ho elencato solo le principali, in verità ce ne sarebbero mooolte altre) dona una profondità assurda al gameplay di RDR2, e questo, sebbene contribuisca a rendere il gioco ancora più immersivo crea anche alcuni problemi quando si arriva al discorso comandi. Nessuno di questi funziona in maniera sbagliata, anzi, i controlli sono tutti precisissimi, ma la verità è che si parla di veramente una miriade di azioni diversi da poter compiere utilizzando sempre gli stessi tasti. Da un lato colpisce come Rockstar sia riuscita, nonostante la penuria di tasti di un controller, a inserire così tante funzioni diverse in base alle situazioni, ma dall’altro è anche vero che ricordarsi quale tasto bisogna premere e in che momento va fatto è alquanto complicato, soprattutto all’inizio. Vero che arrivano le indicazioni in game tipiche Rockstar a trarre d’impaccio, però a volte il dito scappa lo stesso compromettendo magari lo svolgersi liscio di una determinata azione. In quel momento qualche imprecazione scappa.
Un mondo con i suoi ritmi

Come avrete capito giunti a questo punto in RDR2 c’è una miriade di cose da fare e un’altrettanta miriade di cose di cui tener conto per fare bene quelle cose. Questo perché si tratta di un gioco complesso, con le sue regole e i suoi ritmi. Pertanto io in questo paragrafo vi avverto: questo gioco non è GTA. È un gioco ben diverso. Red Dead Redemption 2 vi chiede di mettere da parte la fretta e di vivere un’esperienza, non di consumare un prodotto. Ho notato che molta gente è rimasta delusa e l’ha criticato per il fatto che costringa a cavalcare per ore, a sorbirsi dialoghi lunghissimi e a compiere azioni “non divertenti”. Beh, questo gioco non si piega alle esigenze del giocatore. O meglio lo fa, ma solo se a sua volta il giocatore ne rispetta i tempi, se si lascia catturare, se nelle ore in cui ci gioca decide di immergersi totalmente in un altro mondo e di accettarne le regole. Se non siete disposti a farlo allora è probabile che il gioco vi risulterà noioso, ma in questo caso mi dispiace, non potete valutarlo come un difetto. La scelta di uno stile lento ricalca appieno lo stile del materiale d’ispirazione , ovvero i film spaghetti-western, composti appunto da scene piuttosto lunghe. Se questo stile non fa per voi allora non comprate questo gioco. Se vi aspettate di fare cose come 360 ° col cavallo mentre sparate col Winchester alla Rambo, allora non comprate questo gioco. Non fa per voi, credetemi.
Terra di frontiera

Tecnicamente parlando questo gioco non ha paragoni. La mappa di gioco è enorme e con così tanti ambienti diversi, ognuno curato nei minimi particolari e arricchito con effetti impressionanti. Prendo ad esempio la neve, che subito ci viene buttata sotto gli occhi nelle prime fasi di gioco. Mio dio. Vedere come la neve reagisca al nostro passaggio, come si deformi quando i corpi dei nemici cadono al suolo è semplicemente da lasciare a bocca aperta. Ma anche vedere come il vento muove i fili d’erba, la precisione con in cui l’acqua si increspa, il modo in cui i rami si piegano quando Arthur si muove nella boscaglia. Tutto da sgranare gli occhi. I modelli degli edifici sono curatissimi, sia per quanto riguarda gli interni che gli esterni. Le animazioni di persone e animali sono fluide e realistiche come in nessun altro open world mai e perfino il più secondario degli NPC ha una vasta gamma di espressioni facciali da lasciare basiti. La fisica dei corpi è realistica, con persone e animali che reagiscono in maniera convincente quando vengono colpiti, cadono, precipitano, si accasciano, ecc. L’intelligenza artificiale poi è anch’essa di alcune spanne superiore a quella di titoli dello stesso genere e reagisce e da la sensazione, grazie al sistema di interazione sociale di cui abbiamo già parlato, di trovarsi di fronte a vere e proprie persone e non a dei semplici ammassi di pixel. Pazzesco anche il lavoro svolto sulle routine degli NPC, provate a seguirli: vi accorgerete che hanno una routine giornaliera fatta di svariate attività. Li vedrete addirittura fermarsi all’ora dei pasti per mangiare qualcosa.

Gli effetti di luci sono spettacolari, con i raggi solari che filtrano attraverso le chiome degli alberi, la luce delle lanterne che viene smorzata dalla nebbia o il luccichio della luce lunare sulle foglie. sempre comunque tutto funziona come dovrebbe: a volte le ombre creano degli effetti strani sulle superfici, soprattutto sui cavalli, oppure le texture caricano con una certa lentezza, ma di fronte al mastodontico lavoro complessivo sono difetti che passano in secondo piano. Comprenderete anche che trattandosi di un open world ci siano anche alcuni inevitabili bug che quando si parla di mondi così vasti è praticamente impossibile non trovare. Uno dei più “buffi” che mi è capitato è stato quello di trovare un cavallo immobile in posa plastica da statua equestre. Quando mi sono avvicinato per capire cosa stesse accadendo il cavallo è collassato al suolo, per poi schizzare verso l’alto in un ragdoll sfrenato. Sono cose che spezzano l’impressione di trovarsi davanti ad un gioco che fa del realismo un suo punto di forza, ma il giorno che vedrò un open world senza bug di questo tipo sarà il giorno in cui griderò al miracolo.
Anche il comparto audio è qualcosa di epocale. La colonna sonora è composta da una grande varietà di tracce audio diverse, che si inseriscono perfettamente sia nei momenti chiave della storia, sia in quelli esplorativi più tranquilli. Gli effetti sonori dell’ambiente sono presenti in quantità spaventosa e contribuiscono a rendere il mondo vivo e pulsante: sentirete il picchiettare di un picchio su un tronco mescolarsi col suono di un ruscello che vi scorre affianco, mentre il gracidare di una rana si confonde con il suono dei vostri stivali che agitano il sottobosco. Impeccabile anche il doppiaggio dove a distinguersi sono però Benjamin Byron Davis e Roger Clark, rispettivamente il doppiatore di Dutch e quello di Arthur. Da premiare davvero.
I limiti di un media e i suoi compromessi

D’accordo la recensione è praticamente conclusa, ma c’è ancora una cosa che mi sento di dover precisare e riguarda il realismo di questo gioco. Sebbene l’approccio che Rockstar ha utilizzato sia senza dubbio improntato al realismo più sfrenato, c’è comunque da dire che il gioco presenta alcuni compromessi soprattutto per quanto riguarda alcuni aspetti di gameplay come ad esempio il sistema di ricercato. Questo nel complesso ha un funzionamento abbastanza convincente: quando si compie un crimine c’è bisogno che un testimone lo segnali alle autorità, altrimenti passerà inosservato. Quando la macchina della giustizia si mette in moto possono verificarsi due cose: uno venite identificati come Arthur Morgan perché non avete avuto l’accortezza di coprirvi il volto, oppure, se l’avete fatto il vostro crimine verrà segnalato come compiuto da ignoti.
Nel primo caso riceverete immediatamente una taglia sulla testa, mentre nel secondo avrete la possibilità di cavarvela eludendo la perlustrazione che gli uomini di legge attueranno per individuare il bandito misterioso. Nel caso vi trovino in zona e arrivino alla conclusione che il bandito in questione era proprio il caro Arthur allora e solo allora comparirà la taglia. FIno a qui tutto bene. Peccato poi che per levarvi la taglia dalla testa la possiate pagare di tasca vostra. Una cosa alquanto irrealistica, no? E altri difetti simili ve ne sono. Ci sono poi compromessi narrativi, dove certe situazioni si evolvono in maniera che nel mondo reale sembrerebbe alquanto improbabile, ma che per ben di trama vengono affrontate in un’altra maniera. Quindi sì, questo gioco è forse l’open world più realistico di sempre, ma non è a causa dell’essere un videogioco, sempre perfettamente coerente con se stesso. Detto questo è sicuramente uno di quelli che gestisce queste discrepanze nella maniera migliore, senza farci incappare in momenti che veramente ci fanno percepire una discrepanza fra le azioni che dobbiamo compiere in game e la storia.
- News, Recensione
- 09/11/2018
- Valutazione Finale100Voto
E alla fine è arrivato. Il gioco che finalmente è riuscito a strapparmi il 100. Mi ci sono volute quasi 5000 parole per cercare di spiegarvi cosa è Red Dead Redemption 2, ma sento che anche scrivendone altre 5000 non mi sentirei soddisfatto. Se dovessi scegliere una parola e una sola per descriverlo in tutta quanta la sua interezza allora non potrei fare a meno di scegliere traguardo. Perché questo gioco rappresenta proprio questo: un traguardo raggiunto dal genere open world dopo un cammino ventennale cominciato con Shenmue. Certo di altri capolavori ne abbiamo avuti tanti, ma questo titolo rappresenta secondo me se non l'apice, comunque un passo importantissimo di quel cammino, un vero e proprio punto di svolta che alza ancora una volta l'asticella di quello che si può e non si può fare nel mondo dei videogame. Nonostante questo, lo sottolineo di nuovo: a molti questo gioco non piacerà, perché non è il solito videogame da prendere e spolpare in qualche ora. È una vera e propria esperienza interattiva così come non se ne erano mai viste prima. E vi giuro che mi costa scrivere queste righe, perché non pensavo che sarei mai arrivato a pensare questo di nessun gioco… a parte Metal Gear Solid si intende.